Una piccola stanza, tre poltroncine, dei libri
una piccola stanza
per contenere, mondi di anime inquiete.
Lì le tue mani, grandi e pazienti
lì le tue dita, lunghe e sapienti
rendono spesso matassa, d’un filo d’amore
grovigli intricati di fili, d’umano dolore
senza giudizi, ché non sei un confessore:
amore per gli altri, amando se stessi
senza più compromessi.
Ero io, un animo inquieto
io ero un groviglio, d’umano dolore
per i miei cinquant’anni, coronati da sei “fallimenti”
per un vecchio allo specchio
ed un nido ad un passo dal secchio
perché non avevo controllo, su un male intestino…
così, spaurito e confuso, m’ero fatto un bambino
che della Mamma, non sente la voce:
piangevo a ogni ora, scalciavo
e più non dormivo, ché d’ansia anche il letto era croce!
Sei giovane Silvia
di Cristo alla morte, più o meno hai l’età
però chi moriva ero io, e te che sei donna
sentivo un po’ mamma, un po’ mi sembravi, Madonna!
Negli occhi tuoi belli, scuri, profondi
vomitavano i miei, sfuggenti, stravolti
“errori”, “colpe”, “stranezze”
ma i tuoi, come fa un buco nero
che contromano conduce
ingoiavano il buio, la fine
ridandomi il tempo e la luce!
E’ stato anche merito mio, ma grazie, davvero
ché poterti parlare di tutto, senza timore
sentire i tuoi forti consigli
ammirare il tuo sguardo, talvolta velato d’amore
è valso ben più, di quella parcella
perché tu sei Silvia, ben più, d’una strizza cervella.
Rammento i tuoi piedi, nudi a ascoltare
rammento i due baci alla porta
che ripetevo, con mano e sorriso
presso il portone
rammento, quando ero morto
l’abbraccio di seni e calore
l’abbraccio di seni e calore
una volta risorto:
l’alfa e l’omega, con te dell’incontro
d’un uomo che adesso lo sa
che tale è uno sbaglio, se resta non colto!